Non si capisce perché l’età degli anziani si definisca “la terza età” quasi che esistesse una “prima età” e una “seconda età”. Tanti, troppi luoghi comuni si sono venuti a creare su un periodo, non ben definito, della vita di un individuo che, nel suo scorrere, vede il percorso di un’alba e di un tramonto, di un inizio e fine anno, di un principio e fine secolo e si potrebbe continuare per molto tempo perché tutto ha un inizio e una fine! Anche la vita di un essere umano!
Non credo che qualcuno sia in grado di identificare con precisione assoluta quando questa famosa “terza età” abbia inizio. Credo si possa affermare che la “anzianità” sia una condizione del tutto soggettiva: infatti esistono individui che lasciano questo mondo ancor giovani e altri che, per converso, sembra non lo vogliano lasciare mai. Con lo scorrere dei secoli l’evoluzione del benessere sociale, congiuntamente ai progressi costanti della medicina hanno permesso che la scienza definisse anzianità quel tratto di vita che va dai 75 anni in poi.
Questo prolungamento nelle aspettative di vita di un individuo, anziché essere considerato un beneficio evoluzionistico è divenuto un “peso”. Un peso perché l’anziano e meno agile, è più lento nei movimenti, si ammala più frequentemente, sente meno della norma, vede con maggiore difficoltà, elabora i ragionamenti in un tempo più lungo, è legato ad una musica antica e barbosa, non sa usare la tecnologia dei computer e dei cellulari, non sa dialogare con i giovani e, non ultimo, innalza il tetto delle pensioni. L’anziano diventa di fatto un peso soprattutto per i giovani che lo mal sopportano.

Nei popoli antichi l’anziano era al centro della società ed era considerato il “saggio”. I giovani e gli stessi adulti si rivolgevano a “lui” per chiedere consiglio e perché li aiutassero a prendere decisioni difficili. Quando un anziano parlava tutti si tacitavano e stavano ad ascoltare in devoto silenzio le parole dai preziosissimi contenuti.
Due sono le possibilità; o la “terza età” si è evoluta così malamente da subire un regresso catastrofico, o sono i giovani che per la loro frenesia di vita e di interessi egoistici ne farebbero volentieri a meno.
Non credo sia possibile porre solo il bianco e il nero nella riflessione, ma siano necessarie altre sfumature che permettano una visione più ampia e meno perentoria.
Tutto o quasi è dovuto all’educazione, non all’educazione attraverso dogmi impartiti, ma, più semplicemente, attraverso gli esempi che i genitori dovrebbero poter dare ai propri figli. Il reiterato esempio diviene un dogma da seguire senza che questo sia stato imposto.
Il cedere il posto a sedere ad un anziano, aiutare l’anziano a portare pesi impegnativi, fare silenzio e ascoltare quando l’anziano parla, partecipare attivamente alle riunioni familiari chiedendo consiglio e supporto ai propri genitori, recarsi al cimitero per portare fiori al genitore o al nonno scomparsi e così avanti, mai dimenticando che l’anziano è stato il capostipite della famiglia e non il vecchio o la vecchia fastidioso/a e petulante.
Man mano che le generazioni si sono succedute l’educazione è divenuta sempre più permissiva e corredata di una serie di regali atti a colmare dei vuoti di presenze importanti.
L’anziano in questo contesto guarda con sconforto quello che sta accadendo, ma non gli è permesso intervenire. Viene così accantonato come si fa con i cimeli, spesso preziosi , ma pur sempre cimeli che, come tali, vanno conservati in una teca e di tanto in tanto spolverati.
Bello sarebbe se giovani e meno giovani imparassero ad amare la terza età, ma non solo quella che li coinvolge da vicino, ma tutta l’anzianità che altro non è che una tappa della vita e che prima o poi vivranno anche loro. Far sentire all’anziano la comprensione, l’affetto, il supporto, senza dover forzare la propria indole, sarebbe un passo importante.
Questo farebbe bene sia all’anziano sia al giovane che potrebbe beneficiare di nuove realtà affettive cariche di amore.
L’anziano è un essere fragile sia fisicamente sia moralmente e andrebbe trattato con la stessa cura e attenzione che si presta ad un vaso di vetro sottile che contiene conoscenza, esperienza e amore. Mettere a disposizione un po’ del nostro tempo per farli sentire, come in effetti sono, importanti e preziosi, non sarà un tempo speso malamente, ma investito in una cosa che potrà farci guadagnare autostima.

Un anziano viene spesso vissuto, nulla di più sbagliato, come uno dei gladiatori che scendevano nell’arena ai tempi dei romani: “Morituri”! Nell’anziano vi è, per evoluzione delle cose, maggiore ragionevolezza spesso acuita dal desiderio inconscio di attenzione che spesso si trasforma in fastidio da parte dei familiari. Ma esistono a tutto questo dei contraltari che in qualche modo compensano e ai più attenti danno motivi di vita: vivere la terza età è bellissimo! Avendo più tempo a disposizione si ha l’opportunità di valutare con più attenzione le situazioni, di ammirare la natura nella sua lenta evoluzione, nel guardare in silenzio figli e nipoti riempiendosi il cuore di orgoglio, leggere dei buoni libri, e non vivere frettolosamente come chi impronta la sua esistenza al “carpe diem” spesso cadendo in errore. Anziano è bello!
Concluderei questa riflessione con un aforisma di Fëdor Dostoevskij: “ E’più facile condannare qualcuno piuttosto che cercare di capirlo!”